Stefania Ricci, direttrice del Museo Salvatore Ferragamo, ci racconta la mostra Il calzolaio prodigioso. Fiabe e leggende di scarpe e calzolai.

 

 

 

 

 

Ann Craven, Shoe Portrait (Ferragamo, patchwork multicolor, 1942), 2013. Acquarello su carta, 56 x 76 cm. Courtesy Ann Craven, New York

 

 

 

 

Elisa Fulco: Come nasce l’idea della mostra?
Stefania Ricci: La mostra è una risposta al bisogno di favole e di narrazione che caratterizza questo preciso momento storico. Un fenomeno in crescita, che nel cinema si è manifestato nella riedizione e reinvenzione di favole classiche, basti pensare alla recente riproposizione di Biancaneve. Come spesso accade, partendo dalla suggestione del tema della scarpa nelle favole abbiamo scoperchiato un mondo che va ben al di là delle fiabe tradizionali (Scarpette rosse, Cenerentola, Il gatto con gli stivali). Abbiamo scoperto un universo ricchissimo che ha trasformato una piccola mostra in un’esposizione interdisciplinare, in cui la maggior parte delle opere sono nuove produzioni, realizzate appositamente per l’occasione. Lo stesso titolo della mostra prende spunto dal manoscritto di Federico Garcia Lorca, La zapatera prodigiosa, per la prima volta esposto in Italia.

EF: Quali le opere e i linguaggi in mostra?
SR: Si va dall’Hermes di Gianbologna, interpretazione rinascimentale del primo calzolaio alato, che, secondo il mito, si è fatto le scarpe da sé, alle storie di Hamid Ziarati, Michele Mari, Elisa Biagini, illustrate da Michela Petoletti e Francesca Ghermandi; dall’accompagnamento musicale di Luis Bacalov, scritto per l’ouverture della mostra, alle fotografie di Simona Ghizzoni e Lorenzo Cicconi, sino alle opere degli artisti Mimmo Paladino, Carol Rama, Annette Lemieux, solo per citarne alcuni.

EF: In questa cornice espositiva la stessa vita del fondatore è stata presentata come una favola.
SR: In effetti la vita di Salvatore Ferragamo ha in sé tutti gli elementi fiabeschi: le origini umili e il superamento delle difficoltà attraverso la creatività che, mossa da un gesto d’amore, porta al successo e alla realizzazione del sogno. Sembra una storia inventata ma è proprio vero che il primo paio di scarpe Salvatore l’ha realizzato in una sola notte per la sorella che non poteva indossarne di nuove per la comunione. È proprio a queste scarpette bianche è dedicato il cortometraggio White Shoes, realizzato da Mauro Borrelli e dal premio Oscar Rick Heinrichs. Così come la vita di Ferragamo diventa un fumetto nella rilettura  proposta da Frank Espinosa, autore che abbiamo scelto proprio perché ambienta spesso i suoi lavori nell’epoca d’oro del fondatore: gli anni Trenta e Quaranta del Novecento.

EF: Nelle vostre mostre la prima stanza del Museo è sempre dedicata a Salvatore Ferragamo. Quali scarpe della sua produzione fanno sognare?
SR: Siamo sempre partiti dal nostro archivio storico per selezionare le scarpe che avessero in sé un potenziale fiabesco. La scelta è ricaduta su quelle realizzate in materiali poveri durante la guerra, nate dal bisogno e portatrici di creatività allo stato puro, che abbiamo presentato con un allestimento particolare: avvolte in carte da caramelle, o dentro bolle di sapone. La mostra ha  però uno sguardo ampio e trasversale, Salvatore Ferragamo è un tassello di questa complessa narrazione.

EF: La mostra sembra proporre nuove forme di committenza e un modo nuovo di rileggere la relazione arte e impresa.
SR: Sicuramente non ci siamo posti come committenti arroganti, partendo da un brief iniziale abbiamo lasciato spazio libero all’interpretazione, e i risultati sono stati sorprendenti. Chiaramente siamo stati attenti nello scegliere artisti e autori in cui il tema della favola era già presente, o in nuce come potenzialità. Nonostante siano stati coinvolti diversi artisti, il clima è stato di grande collaborazione e di entusiasmo. Come ha scritto Antonio Faeti dopo l’inaugurazione, come nelle migliori favole il narcisismo è stato bandito.

EF: Gli sconfinamenti in altre discipline e la reinterpretazione della storia sembrano le vie da percorrere per restare visibili in un contesto globale.
SR: Noi presidiamo la storia del fondatore attraverso il Museo e lo studio dell’archivio, e siamo stati tra i primi a comprendere l’importanza del museo d’impresa. Ma oltre alla storia dobbiamo interpretare in modo nuovo i valori, anche quelli etici e più profondi, di cui il brand Ferragamo è portatore, ponendoci come promotori di cultura e di italianità. 
Occorre produrre nuove idee per radicarci sul territorio, e contemporaneamente intercettare le richieste di un pubblico sempre più ampio e internazionale, che oggi non è più esclusivamente interessato ad una narrazione autocelebrativa del brand. Servono nuovi contenuti.

EF: Di recente è stata inaugurata la Fondazione Salvatore Ferragamo.
SR: La Fondazione è un ulteriore forma di tutela dell’archivio e della storia del fondatore. Tra gli obiettivi principali c’è la promozione dell’artigianalità e la valorizzazione del talento dei giovani, attraverso corsi di formazione e concorsi. Il 19 giugno presenteremo il lavoro di giovani fumettisti. Andiamo avanti nella ricerca e nel sostegno della creatività.

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