Nel 2013 è stata pubblicata la prima monografia Kartell, dal titolo Kartell. La cultura della plastica. Lorenza Luti, Marketing & Retail Director, ci racconta la genesi del libro e il legame con il Museo Kartell.

 

 

ELISA FULCO: Come nasce l’idea del libro?
LORENZA LUTI
: Già da tempo stavamo pensando ad un libro dedicato ai 60 anni della Kartell, ma cercavamo un editore che credesse insieme a noi al progetto e che avesse una distribuzione internazionale. Dall’incontro a Colonia con l’editore Taschen è nata questa prima monografia dedicata al design, frutto di due anni di lavoro e di ricerca. Il risultato è un libro che racconta a 360° il mondo Kartell, che non si limita ad un mero excursus di prodotti.

EF: Che tipo di materiale illustra il libro e da dove proviene?
LL: Si tratta di disegni, fotografie storiche e recenti di prodotto, di allestimenti, di eventi, di grafiche e immagini tratte dalla comunicazione, provenienti per lo più dall’archivio Kartell. 
La ricerca si è estesa su tutto il territorio, coinvolgendo le principali fondazioni di design (Magistretti, Castiglioni), così come i principali archivi fotografici.  Per l’occasione ci siamo spinti sino a New York per recuperare dal MOMA le immagini della mostra del 1972, la prima dedicata interamente al design italiano. Anche nella scelta degli autori dei testi abbiamo privilegiato letture di costume e di società in grado di rileggere culturalmente i decenni Kartell che coincidono con la storia del gusto e del design italiano.

EF: Che ruolo ha giocato il Museo Kartell nella composizione del libro?
LL: Il libro è non a caso a cura della curatrice del Museo, Elisa Storace, proprio perché tutto si basa principalmente su ricerche di archivio, a partire dal nostro che ospita 800 prodotti, 15.000 fotografie, 5.000 disegni e con un percorso espositivo di 1.000 oggetti (autoaccessori, casalinghi, lampade, articoli per laboratorio, mobili e complementi d’arredo). Un materiale che è stato oggetto di un grosso lavoro di digitalizzazione che ci ha impegnato per anni. Nell’archivio Kartell confluiscono anche l’archivio Castelli, l’archivio di Centro Kappa, la collezione di 100 sedie di mio nonno, o piuttosto i 3000 oggetti in bachelite.

EF: Sin dagli inizi c’è stato un forte interesse per la comunicazione d’impresa, a cosa si deve questa attenzione?
LL: Sin dall’esperienza dell’house organ, Qualità, nei primi anni Cinquanta, si è compreso che il valore dei nuovi prodotti era dato dalla componente tecnologica della plastica e dal disegno industriale, che doveva essere introdotto e spiegato al consumatore. Un’eredità che ha portato negli anni Settanta alla creazione del Centro Kappa, che, oltre a creare la riconoscibilità della comunicazione aziendale, ha promosso la qualità del design italiano, attraverso la composizione di eventi e mostre nella sede della Kartell, creando il terreno per la nascita del Museo Kartell nel 1999.

EF: Il libro kARTell.150 Items.150 artworks ha segnato un momento importante della vostra storia?
LL
: Sicuramente ha rappresentato un’occasione per guardare il mondo Kartell liberamente interpretato da 150 tra fotografi e artisti. Un libro che è diventato una bellissima mostra itinerante, partita dalla Triennale di Milano nel 2002, e che in fondo ha rivelato un modus operandi dell’azienda, basato sulla fiducia nella creatività, con pochi, pochissimi briefing.

EF: Il fondatore Giulio Castelli parlava di super novità con cui bisognava andare oltre il nuovo. Un effetto sorpresa che sembra ricerchiate ancora oggi.
LL: Il lavorare con i designer ci ha insegnato ad affidarci a loro e alle loro intuizioni. Il nostro è un lavoro di squadra giocato sulla fiducia e sull’apertura reciproca. Ogni progetto per noi è il progetto, e contrariamente a quello che si pensa noi non lavoriamo sul concetto di famiglia, ma sul singolo oggetto, su veri e propri pezzi unici.

EF: Eppure i vostri oggetti dialogano sempre bene tra loro.
LL: L’unità visiva è data dal materiale plastico, dal trattamento delle superfici, dal colore, dalle trasparenze che oggi ci contraddistinguono. Il tratto predominante è la trasversalità dell’oggetto che si presta ad essere usato in ambienti differenti, che funziona sia in interni che in esterni.

EF
: Kartell ha anticipato il concetto di flessibilità e di liquidità degli spazi.
LL: In qualche modo lavorando con design internazionali abbiamo colto lo spirito del tempo, rispondendo a nuove esigenze abitative. Se il portasci in plastica del 1950  ha segnato l’inizio della storia Kartell, che coincideva con la nascita del tempo libero, delle vacanze di massa nei primi anni Cinquanta, oggi l’oggetto che può rappresentare l’attuale stile di vita è il nostro primo tavolo pieghevole di Lissoni, che ben si presta alla contrazione degli spazi.

EF: Quanto conta il passato nella storia Kartell?
LL:  Per noi il passato è fondamentalmente consapevolezza di quanto abbiamo fatto, motivo per cui conserviamo e archiviamo la nostra storia. E’ un rafforzativo. Ma diversamente da altre aziende non siamo interessati a una rilettura/reinterpretazione dei nostri prodotti in chiave Heritage, al contrario siamo interessati al futuro, al guardare avanti.  Motivo per cui non rieditiamo pezzi ma manteniamo in catalogo oggetti storici se ancora oggi funzionano. Ci sono delle eccezioni, come la poltronicina di Joe Colombo, progettato in legno che abbiamo potuto riproporre in materiale plastico con l’avvento delle nuove tecnologie produttive.

EF
: Ci sono però dei classici Kartell che ormai sono intramontabili.
LL:  Possiamo contare su delle vere e proprie icone, che sono diventate tali non perché siamo noi a sostenerlo, ma perché sono entrate veramente nel quotidiano e nell’immaginario del pubblico. Dai componibili di Anna Castelli Ferrieri  a La Marie di Philippe Starck, alla lampada Bourgie, alla libreria Bookworn di Ron Arad.

EF: In che modo raccontate questi oggetti nel Museo Kartell?
LL: La lettura che proponiamo è di tipo cronologico, con la possibilità di scoprire gran parte della nostra produzione grazie anche a disegni, prototipi, video e approfondimenti, che permettono di scoprire l’evoluzione delle forme, delle superfici.  Ci siamo accorti che in tanti vogliono approfondire la nostra storia. Per noi il museo rappresenta un vero e proprio strumento di comunicazione, nonché un’occasione di training per clienti e nuovi assunti. Il tour del museo è obbligatorio.

EF: Chi sono oggi i vostri visitatori?
LL: Sono prevalentemente persone del settore e studenti, ma negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento di visitatori generici, a partire dalle persone che prenotano la visita al museo in coincidenza di un giro nell’outlet.  Sono circa cinquemila presenze l’anno, esclusi chiaramente i frequentatori degli eventi o della settimana del design. Dispiace però che l’80% siano stranieri. C’è ancora margine per lavorare su una maggiore presenza italiana.

EF: Il Museo nel 2014 compie quindici anni e per l’occasione sarà riallestito. Quali saranno le novità?
LL
: Il progetto prevede una revisione della collezione, con un maggiore bilanciamento anche degli esisti contemporanei, con l’introduzione di nuovi oggetti. Un maggiore spazio verrà dato alla multimedialità e alla creazione di ambienti immersivi. Abbiamo molti materiali video su cui contare e la digitalizzazione dell’intero archivio ci tornerà utile per creare dei dispositivi che lo rendano facilmente fruibile, con inediti montaggi e animazioni.

EF: Il marchio Kartell è associato all’euforia, all’allegria,che messaggio lanciate in un tempo di crisi?
LL: Siamo un marchio con prodotto glamour che a differenza della moda durano nel tempo, siamo attraenti ma anche accessibili. I nostri sono oggetti firmati ma a prezzi che ci sforziamo di mantenere contenuti.

EF: Un lusso democratico?
LL: Esattamente.

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