Carolina Lussana, responsabile della Fondazione Dalmine, racconta la mostra D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine.

 

D17 DalmineELISA FULCO: Come nasce l’idea della mostra?
CAROLINA LUSSANA: La mostra è il frutto di una riflessione che portiamo avanti da tempo. Ovvero la valorizzazione del nostro archivio storico con un focus sulla fotografia e sugli autori che hanno rappresentato impianti, processi, prodotti, attività della nostra impresa. Con lo Studio Da Re inauguriamo un ciclo di volumi e mostre che ha l’obiettivo di dare voce e visibilità ai fotografi presenti nel nostro archivio, adottando nuovi sguardi per rendere più coinvolgente il racconto della lunga storia della nostra azienda e di come – più in generale –  l’industria abbia prodotto anche una cultura visuale. Sin dal titolo D17, la sigla utilizzata dai fotografi Da Re per classificare le fotografie Dalmine, si è voluto privilegiare l’aspetto archivistico,  della loro produzione, senza però rinunciare a lasciarsi guidare, nella scelta delle immagini, dalle forme e dalle geometrie delle immagini.

EF: A cosa si deve la scelta dello Studio Da Re come prima tappa del progetto?
CL: Lo Studio fotografico Da Re è stato in passato lo specchio delle trasformazioni di TenarisDalmine. Queste immagini raccontano l’evoluzione dell’azienda nell’arco di cinquanta anni, dagli anni Trenta sino agli anni Ottanta. Siamo partiti da una visione storica, legata al territorio e alla continuità, al rapporto il committente e un autore di ambito provinciale, per poi inserire un elemento di rottura, o meglio di gioco. Abbiamo sottoposto al vaglio dei due curatori di arte contemporanea della GAMeC di Bergamo, le migliaia di immagini dello studio, per provare a rileggerle in chiave estetica, piuttosto che in chiave documentativa, o storica.

EF:La mostra, dopo la prima tappa alla GAMeC, è approdata al Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia di Milano. Cosa cambia nella presentazione?
CL: Lo spazio espositivo è totalmente diverso, così come lo è il contesto. Non si è trattato solo di riallestire, ma di immaginare una sorta di “secondo ciclo di vita” per le stesse immagini. A differenza della prima tappa, il percorso espositivo diventa lineare. Il fatto di trovarsi in un museo tecnico scientifico, e non più in una galleria d’arte contemporanea, offre al visitatore l’opportunità di creare nuove associazioni e rimandi, ma soprattutto delle nuove prospettive con cui riguardare queste immagini anche in relazione e in dialogo con le sezioni espositive del Museo dove, fra l’altro, sono esposti alcuni manufatti legati sia alla storia che all’attualità di TenarisDalmine. Il primo è un antico laminatoio perforatore, che testimonia una tappa storica della tecnologia di produzione dei tubi in acciaio e che l’azienda donò al Museo nel lontano 1958. Il secondo, è una modernissima e sofisticata colonna di perforazione petrolifera, donata da Tenaris al Museo nel 2009.

EF: Il 30 Ottobre presentate a Milano il convegno Fotografi in Archivio, in cui sono coinvolti diversi partner (ANAI, Fondazione ISEC, Museimpresa). Il fare rete sembra sempre di più una vostra vocazione.
CL: L’obiettivo è proprio quello di creare un confronto incrociato sul tema della fotografia industriale, esaminata da più punti di vista: come “prodotto” storico dell’incontro tra un fotografo e un una committenza, come oggetto di conservazione in un archivio, ma anche come bene culturale che testimonia un aspetto importante della cultura industriale e che va quindi valorizzato con un approccio contemporaneo. L’idea è quella di mettere a stretto contatto l’opinione di archivisti, operatori culturali, studiosi, critici, fotografi in merito al patrimonio fotografico, agli autori più noti, che in passato hanno collaborato con diverse aziende, ancora attive oggi, come TenarisDalmine, o con realtà che magari oggi non ci sono più. Per noi è importante recuperare o mettere in evidenza le tracce documentali del  lavoro prezioso di importanti fotografi conservate in altri archivi e istituzioni. Un possibile obiettivo futuro è la realizzazione di mostre, pubblicazioni, iniziative dedicate alla fotografia industriale.

EF:Avete in programma qualche evento per promuovere la mostra durante la Settimana della Cultura d’Impresa in corso a Novembre?
CL: La mattina del 16 Novembre io e Jessica Brigo, che cura il nostro archivio fotografico, guideremo il pubblico in una passeggiata nel Chiostro del Museo, bevendo un caffè e chiacchierando di fotografia, industria, archivi e musei.

EF: La comunicazione a 360° della cultura d’impresa sembra la vostra mission principale.
CL: Il nostro sforzo è raccontare la nostra storia industriale con tagli differenti, creando varie e diverse iniziative di valorizzazione in cui eventi culturali, didattica, comunicazione, divulgazione, ricerca siano parte di una stessa visione. Questa visione parte dall’archivio e dalla storia, ma incrocia  la contemporaneità. Consapevoli che il valore del patrimonio di oltre cento anni di storia non si esaurisce in una mostra, o in un singolo evento. Il nostro è un progetto incentrato sulla continuità e riconoscibilità.

EF:Anche la formazione è un aspetto saliente della Fondazione Dalmine.
CL: Il programma tre/diciannove propone alla scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, dei temi di interesse tratti dall’archivio e dalla biblioteca, partendo dal quotidiano della città industriale per riscoprirne le origini : cosa significa vivere in un posto costruito attorno ad un’azienda? In che modo la fabbrica ha inciso e incide sulla vita delle persone? Come è cambiato il modo di fare industria nel corso di un secolo? Cosa significa “oggi” vivere in una città industriale? Trattiamo la storia come materia viva, da ricostruire attraverso i documenti, presentati sotto forma di gioco e di laboratorio.

EF: L’esperienza della mostra e del sito Faccia a Faccia sicuramente va nella direzione del coinvolgimento.
CL: Assolutamente, sì. La mostra fotografica è partita nel 2006 ma è già stata proposta in tantissime sedi nei dintorni di Dalmine. E’ una sorta di ritratto corale che, presentando centinaia di immagini di vita e di lavoro a Dalmine e nei siti dove l’azienda ha operato o ancora opera,  cerca di ricostruire il vissuto delle persone attraverso il riconoscimento di amici e parenti. Un tentativo di dare un nome ad operai anonimi che per oltre cento anni hanno lavorato nella fabbrica. In questo caso la storia del lavoro coincide con quella delle persone. Un omaggio alla memoria.

Condividi con