Aspettando l’inaugurazione della mostra Che Storie!, il curatore Davide Ravasi ce la racconta in anteprima.

 

Elisa Fulco: La mostra Che storie! Oggetti, miti e memorie dai Musei e archivi d’Impresa, racconta i primi dieci anni di Museimpresa. In che modo vengono rappresentate le diverse anime dell’Associazione e l’eterogeneità di cui è portatrice?

Davide Ravasi: La mostra racconta attraverso diverse chiavi di lettura le collezioni provenienti dagli archivi e musei d’impresa, creando un racconto collettivo dell’industria, del lavoro, e della società, in grado di ricostruire oltre 150 anni di cultura italiana.

EF: Quali sono i temi attraverso cui si snoda il racconto?
DR: La mostra è organizzata intorno a quattro aree tematiche – la Storia e la Memoria, il Mito e la Passione, la Scoperta e la Meraviglia, l’Identità e l’Innovazione – nelle quali abbiamo cercato di incanalare le ricche ed eterogenee collezioni di oltre 40 associati di Museimpresa, dal design alle acciaierie, dal tessile all’energia, dai  motori alla farmaceutica, dalla ceramica all’alimentare. Abbiamo scelto di puntare sulle storie che questi musei raccolgono, raccontano e consentono di raccontare per affrontare trasversalmente temi che spaziano dal prodotto, al progetto, la storia, e le persone.

EF: Che tipo di materiale si trova in mostra e in che modo racconta delle storie?
DR: Trattandosi di un racconto collettivo la scelta è ricaduta su fotografie, disegni, lettere, riviste, prodotti e prototipi, nonché video, dal forte potere narrativo, in grado di ricostruire i primati  le eccellenze, ma anche le curiosità e gli aneddoti dei singoli associati. Troviamo quindi bozzetti d’artista di Depero dalla Galleria Campari accanto ai cocci del Mulino Bianco Barilla. Filmati d’archivio AEM e Breda accanto a Caroselli Branca. Calzature Ferragamo e Rossimoda accanto ad antichi occhiali dalla collezione Safilo e cavalli giocattolo dal Museo Artsana.  Casalinghi Guzzini in plastica colorata accanto a biciclette storiche dal Museo Nicolis. Schede multimediali che ci raccontano della storia di oggetti diversi come la liquirizia, le macchine da caffè, il cruscotto delle automobili e gli pneumatici. Sono così tante le possibili chiavi di lettura che tutti gli associati trovano  piena rappresentazione. E la forza di questa rappresentazione si amplifica proprio perché è in relazione con altri prodotti ed esperienze d’impresa. Basti pensare all’evoluzione della comunicazione d’impresa resa attraverso manifesti e filmati, o piuttosto dall’esposizione di riviste aziendali, la cui varietà e ricchezza compone il quadro di una cultura complessa che merita di essere raccontata e riletta.

EF: Che tipo di cultura è alla base di questi oggetti/prodotti?
DR: Oggi si parla molto di cultura d’impresa in un modo che non rende piena giustizia al ruolo importante che le imprese hanno nel contribuire a plasmare, diffondere or rafforzare “modelli culturali” – di comportamento, di pensiero, di relazione, di espressione – da cui tutti noi siamo profondamente influenzati. Un ruolo che investe quindi la dimensione più ampia, socio-antropologica della cultura, e  non solo quella artistico – letteraria.

EF: In che modo l’allestimento traduce queste idee curatoriali?
DR: Si è scelto di coniugare l’evocatività di questi oggetti con la loro naturale fisicità, facendo dialogare vetrine multimediali, in cui il racconto dell’oggetto avviene attraverso dispositivi video, con vetrine fisiche in cui esporli materialmente. Chiaramente non mancano gli oggetti icona e scenografici che scandiscono il percorso; tra gli altri, il musetto di una Ferrari, la Valentine Olivetti, un abito Zegna, una Vespa originale, ben tre moto Ducati, e addirittura un orologio da torre! Una sezione della mostra è non a caso dedicata al mito, alla passione. Ma non mancano anche oggetti divertenti…

EF: Per esempio?
DR: Uno dei miei preferiti è il contatore a monete dell’Enel, che inserendo una lira erogava 300 kwh di energia. Peccato che a Napoli avessero inventato la moneta di ghiaccio!
Ci sono documenti interessantissimi che parlano di epoche in cui si faceva impresa in condizioni molto diverse. Lettere scritte alla fine dell’ottocento da direttori di filiale Martini che parlano di consegne a dorso di cammello, epidemie di peste bubbonica, e insurrezioni armate. Interviste a ingegneri dell’Eni che raccontano delle loro esperienze in Persia e in Libia. Così come gli statuti dell’ Italgas e della Cariplo ci ricordano che alla metà dell’Ottocento, in Italia, per costituire un’impresa era necessaria la firma del Re. Abbiamo poi modelli Alfa Romeo, prototipi Alessi, disegni tecnici da La Marzocco e un vecchio tecnigrafo Same che ci svelano l’attenzione al dettaglio, l’artigianalità, e l’intima relazione con la materia che sta dietro al grande design italiano. Oggetti portatori di grandi storie, oltre che di una valenza estetico–simbolica.

EF: Molte delle collezioni aziendali provengono da imprese storiche. Non si rischia uno sbilanciamento verso il passato, magari in chiave nostalgica?
DR: Assolutamente no, se si legge tutto come patrimonio a disposizione di aziende vive e ancora operanti. Soprattutto nell’ultima sezione, Identità e Innovazione, si sottolinea l’importanza di queste collezioni per garantire continuità con la propria storia e consentire, al tempo stesso nuove riletture del proprio passato, sotto forma di nuovi prodotti o forme di heritage branding. Basti pensare a Piaggio, Ducati, Peroni, Kartell, Sagsa e tante altre imprese che cercano costantemente ispirazione nei materiali conservati nei propri archivi. O all’uso che Dalmine e Zambon fanno del proprio patrimonio d’archivio per iniziative volte a rafforzare il senso di identificazione collettivo.

EF: La parte finale della mostra è dedicata ai numeri dell’Associazione. Cosa ci raccontano queste cifre?
DR: I numeri permettono di visualizzare la ricchezza di materiale conservato all’interno dei musei e archivi di impresa, gettando una nuova luce, grazie al numero dei visitatori, anche sul fenomeno in crescita del turismo industriale. Più in generale, questi numeri sottolineano la vastità del patrimonio su cui può contare questo “museo collettivo” che è rappresentato dall’insieme delle collezioni degli associati di Museimpresa.

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