Un libro e un museo d’impresa raccontano i primi 85 anni del gruppo Cifa. Ne parliamo con Vito Minunni, responsabile della comunicazione.

Elisa Fulco: Sin dal titolo del libro, Cifa. L’anomalia vincente. Dal seme americano al “secolo cinese”, la vostra storia aziendale parla di differenza e di visioni. In che cosa consiste la vostra anomalia e perché è importante raccontare questa storia?

Vito Minunni: La nostra anomalia è già nel DNA aziendale. Il fondatore Carlo Ausenda aveva una visione moderna e internazionale dell’impresa, fonda:ta nel 1928, in piena autarchia, eppure già proiettata verso l’America. Tutti i brevetti più importanti sono di derivazione americana: cassaforme, impianti e macchine per calcestruzzo etc. Da una parte l’innovazione tecnologica e dall’altra l’adozione di  inedite forme societarie ne hanno fatto un unicum nel panorama nazionale e internazionale.

Elisa Fulco: Quali sono questi primati?
Vito Minunni: Siamo stati sicuramente tra i primi ad adottare l’outsurcing come filosofia aziendale, creando una rete di fornitori solida che ha generato nuove imprese nei settori strategici per l’azienda, generando una crescita collettiva. In più, già in tempi non sospetti l’attenzione alle richieste e rivendicazioni della forza lavoro era un aspetto qualificante dell’azienda. Non a caso la maggior parte dei dipendenti era iscritta al partito comunista, che aveva una sezione all’interno dell’azienda. Nell’epoca delle proteste la fabbrica da noi non si è mai fermata, perché il fattore umano è sempre stato rilevante nella gestione di ogni conflitto.

Elisa Fulco: La vostra storia ha spesso anticipato delle tendenze.
Vito Minunni: Negli anni Novanta l’azienda, dopo essere stata per un decennio circa sotto la gestione del Gruppo Ferruzzi, è stata acquistata da un fondo di investimento (SOPAF), inaugurando la relazione tra impresa e finanza che ai tempi era assolutamente innovativa. All’inizio degli anni 2000, l’azienda viene “scalata” dai fornitori di primo livello ed ex dipendenti. Per infine essere acquisiti dal gruppo cinese Zoomlion nel 2008, qualche giorno prima dello scoppio della crisi finanziaria, proprio nel momento massimo del nostro valore e potenziale economico,  lasciando intravedere una nuova e auspicabile via: ovvero quello dell’investimento estero diretto, ben raccontato da Federico Rampini nell’introduzione del libro.

Elisa Fulco:Il modello Cifa è a tutti gli effetti una case history, probabilmente non replicabile ma interessante da studiare.
Vito Minunni: I festeggiamenti sono inevitabili occasioni di riflessione per capire chi eravamo e chi siamo diventati. Rileggendo la nostra storia ripercorriamo un modello imprenditoriale innovativo e  di successo che viaggia in parallelo alla storia italiana e del mondo. Negli ultimi anni il modo in cui abbiamo operato è  diventato oggetto di studio universitario e non solo, il nostro racconto supera la mera ricostruzione aziendale, aprendosi al mondo.

Elisa Fulco: Sicuramente è giù un anomalia che un’azienda cinese abbia interesse a ricostruire la storia e ad inaugurare un museo aziendale.
Vito Minunni: Nel momento in cui siamo stati acquisiti era chiaro che la nostra stessa storia era motivo di interesse, così come il modello di business di cui eravamo e siamo portatori. Non c’è stato un cambio di management ma il riconoscimento di un valore e l’acquisizione di un modello da cui imparare. Nella loro ottica, i cinesi sono orgogliosi di poter contare su ottantacinque anni di esperienza .

Elisa Fulco:Come raccontate invece all’interno del Museo la vostra storia?
Minunni: Cerchiamo in pochi metri quadrati di condensare la nostra storia attraverso un racconto fotografico e multimediale che narra i vari passaggi aziendali attraverso l’evoluzione dei prodotti, dei metodi di lavoro e dei protagonisti delle varie epoche, creando parallelismi tra la storia aziendale e la storia italiana e quella internazionale.

Elisa Fulco:Che spazio occupa all’interno del museo il processo produttivo e il rapporto con le macchine?
Vito Minunni: Proprio al centro dell’area espositiva sono posizionate due macchine d’epoca: una delle prime autobetoniere modello Transmixer 800 del 1967 e la prima pompa per calcestruzzo AP50D del 1972, così come un plastico che, in miniatura e con dei modellini di prodotto, richiama l’attuale gamma Cifa e Zoomlion, perfettamente integrata e complementare in tutti i segmenti delle macchine da costruzione. Sul fondo è presente anche una sala multimediale dotata di schermi che propongono vari filmati riguardanti lo stato dell’arte della tecnologia raggiunta, le caratteristiche innovative dei prodotti più recenti (la betoniera ibrida Energya E9, l’evoluzione della gamma Carbotech ed un video per la presentazione di tutta la gamma prodotti).

Elisa Fulco: A chi si rivolge il Museo?
Vito Minunni: Il Museo è aperto al pubblico e gratuito, sicuramente è usato per la comunicazione verso i nostri clienti e fornitori, ma come è avvenuto già in occasione della Settimana della Cultura d’Impresa stiamo studiando nuovi percorsi espositivi che si aprano al pubblico e che colleghino il Museo con la visita al Centro di Ricerca e Sviluppo TEC, e alle linee di produzione, recentemente riadattate secondo  i principi della Lean Production.

 

 

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