Il 20 Novembre approda al Philadelphia Art Museum la seconda tappa del progetto espositivo Nuove Istanze Alessi, esposto per la prima volta a Monaco. Ne parliamo con Francesca Appiani, curatrice del Museo Alessi.
Elisa Fulco: In occasione della tappa di Philadelphia cambia il titolo e la selezione degli oggetti proposti. In che modo e perché si modifica la narrazione della mostra da una sede all’altra? Che cosa intende comunicare Alessi con questo progetto?

Francesca Appiani: La mostra è pensata come un work in progress, una sorta di tesi per immagini in cui si racconta la storia, il presente e soprattutto il futuro dell’azienda attraverso quelle che da noi sono state definite nuove istanze. Il curatore della mostra Alessandro Mendini ha cercato di sintetizzarle attraverso concetti che fanno parte del clima progettuale della contemporaneità:  semplicità, riuso, riduzione degli sprechi, sostenibilità, ma anche attenzione estetica e antropologica. La scelta è stata quella di affidarne l’interpretazione a designer di età e provenienza diversa (fra gli altri, Naoto Fukasawa, Ronan ed Erwan Bouroullec, Pauline Deltour, Humberto e Fernando Campana, Anna Gili) proprio per immaginare una varietà di letture che tengano conto della globalizzazione e di tutti i cambiamenti avvenuti. Pensiamo che siano da rivedere le categorie  estetiche e antropologiche che sino ad oggi hanno guidato la produzione degli oggetti. I designer per noi sono come dei traduttori di esigenze profonde a cui occorre dare risposte progettuali precise.

EF: Questo approccio non è nuovo per la storia di Alessi. Sin dagli anni Settanta Alberto Alessi ha introdotto la psicanalisi, la semiotica, l’antropologia in azienda circondandosi di “maestri”, progettisti, artisti e autori di diversa formazione professionale, in grado di ampliare il concetto di design. La mostra però sembra segnare un passo avanti nella ricerca.

FA: Sicuramente, sì, ma è anche la conferma di un approccio sperimentale che ci caratterizza. In questa occasione espositiva non abbiamo voluto raccontare la storia dell’azienda, ma i progetti del futuro, ancora da immaginare, tanto che in mostra approdano prototipi e rendering. Noi stessi non sappiamo che cosa diventerà prodotto e in questa fase non lo riteniamo importante. È ricerca pura che può anche non avere ricadute nella realtà. Il cuore della mostra non sono tanto i progetti, quanto i filoni di ricerca che stiamo percorrendo, di cui gli oggetti in mostra sono sperimentazioni.

EF: Una delle istanze esposte in mostra è quella degli sprechi, e quindi della riduzione di oggetti nel quotidiano. È interessante capire come vi ponete dinnanzi a un cambiamento che può sicuramente cambiare le esigenze dell’attuale mercato.

FA: Quello del contenimento degli oggetti e quindi del consumo è un tema che ci coinvolge molto, di cui oggi non si può non tenere conto. Dal punto di vista progettuale ci sono due designer che hanno interpretato il tema in chiave diversa ma ugualmente stimolante. Il  designer giapponese Fukasawa ha immaginato un set di pentole composto di solo tre pezzi la cui funzione sia riconosciuta universalmente, così da ridurre ogni forma di ridondanza. La designer Pauline Deltour ha invece studiato dei cestini realizzati con il filo di acciaio, un processo produttivamente molto semplice: risparmio di energia e di materia prima. Per questi cestini si è ispirata a un processo già presente in Alessi. I primi cestini “a filo” risalgono alla fine degli anni ‘40, ma Pauline Deltour è riuscita a utilizzare questa tecnica di produzione semplicissima, mettendone in risalto le qualità estetiche e creando un linguaggio insolito, caratterizzato da effetti ottici particolari.

EF: Il visitatore della mostra che cosa trova dei grandi classici della storia Alessi? Come avete scelto di raccontare il passato e il presente della vostra azienda?

FA: Il cuore della mostra sono le nuove istanze, i futuri possibili filoni di ricerca. Abbiamo tuttavia pensato necessario accompagnare questa parte con una menzione alla ricerca Alessi quale si è sviluppata fino ad oggi. L’idea iniziale è stata quella di selezionare una serie di oggetti prodotti dal 1921 al 2000 e di presentarli in miniatura. Adottare quindi un cambio di scala per far capire come riteniamo il passato, anche quello recente, un’esperienza ormai “assimilata”  su cui non occorre insistere ulteriormente. Sia nella prima tappa di Monaco, sia in questa seconda di Philadelphia, i curatori hanno invece insistito per rappresentare l’azienda con gli oggetti nella loro scala reale. A Monaco per un’affezione quasi sentimentale, da collezionista, legata all’esperienza dell’oggetto, negli Stati Uniti per paura che in un pubblico non specialistico si generasse un equivoco rispetto a ciò che l’azienda produce: miniature di oggetti di design.

EF: In questo caso sono i curatori che intervengono nel vostro concept alterando la vostra narrazione. Quali sono gli altri attori in gioco?

FA: È proprio questo scambio ciò che cerchiamo: le nuove istanze sono idee, riflessioni, proposte che possono e devono essere discusse. Abbiamo pensato che la mostra fosse il mezzo privilegiato per innescare questa discussione critica: indipendentemente dalle scelte espositive, il lavoro con i curatori del museo che ci ospita parte dalle nuove istanze, dalla selezione dei filoni di ricerca da mostrare. Parte, quindi, da una discussione su queste ricerche. La recezione della mostra nei diversi ambienti museali è un’occasione di confronto che ci fornisce utili chiavi interpretative, completate dalla risposta, dalle recensioni, della stampa e dalla reazione del pubblico. Tutti fattori che ci permettono di realizzare il nostro desiderio di compartecipare la nostra ricerca, ciò su cui stiamo riflettendo.

EF: E il presente come lo rappresentate?

FA: Abbiamo scelto il concetto chiave di eclettismo: sono oltre 200 gli autori con cui collaboriamo. Autori diversi per formazione, età, provenienza, cultura e, conseguentemente, per approccio progettuale, “linguaggi”, come usiamo definirli in Alessi. Tali differenze si riflettono negli oggetti, in una collezione, appunto, “eclettica”.  Tutta questa ricchezza di linguaggi, passati e presenti, sono contenuti all’interno del Museo Alessi, dove sono rappresentati dai padri del design italiano come Achille Castiglioni o Ettore Sottsass, ai giovani esponenti del design internazionale, come i brasiliani Humberto e Fernado Campana o l’australiano Marc Newson.

Condividi con